Il ROI degli investimenti in salute dei dipendenti
Avere un approccio olistico, pensare al quadro generale, allargare il campo della pianificazione strategica fino a che possa comprendere quante più variabili sia possibile, abbracciando la complessità senza temere di rimanerne schiacciati. Chi ci legge sa quanto questi siano tra gli ingredienti principali della nostra mentalità.
E proprio a conferma di come il tentativo di “unire tutti i puntini” e avere uno sguardo allargato rappresenti secondo noi una delle marce in più a disposizione delle aziende al giorno d’oggi, non ci ha lasciati indifferenti l’attacco di un pezzo redatto dal McKinsey Health Institute (non stiamo parlando dell’ultimo dei fricchettoni, verrebbe da specificare) che recita testualmente: “Immagina un mondo in cui il datore di lavoro effettua investimenti basati sull’evidenza nel campo della salute dei propri dipendenti, ottenendo in cambio il benessere dei lavoratori, la prosperità dei propri affari e la prosperità della società nella quale si convive”.
L’interconnessione intrinseca tra lavoro e salute non più vista, dunque, come una pezza da mettere una volta che i propri dipendenti denuncino insopportabili livelli di stress e burnout, quanto piuttosto come un’opportunità. Opportunità di incidere positivamente sull’economia, a livello locale e globale, e di avere un impatto positivo sulla società. Opportunità di un investimento con ritorno, anche a livello economico, certo.
Cosa ci dicono le ricerche sull’argomento
Scendiamo più nel dettaglio: considerando che una persona mediamente trascorre un terzo della propria vita al lavoro (parliamo di più di 90.000 ore nel corso della vita) non viene difficile realizzare quanto ciò possa incidere sulla salute generale. Un’analisi condotta proprio dal McKinsey Health Institute ha rilevato come l’autoefficacia (ovvero la percezione di sentirsi capaci di svolgere determinate attività), l’adattabilità e il senso di appartenenza al lavoro siano i principali predittori di buona salute, mentre i comportamenti tossici sul posto di lavoro, l’ambiguità di ruolo e il conflitto di ruolo siano all’opposto i principali predittori di cattiva salute.
Aggiungendo altra carne al fuoco, in precedenza i ricercatori del Wellbeing Research Center dell’Università di Oxford avevano analizzato i dati di oltre 15 milioni di dipendenti riguardanti il benessere e i fattori sottostanti che lo determinano sul posto di lavoro, giungendo alla conclusione che sentirsi stimolati, provare appartenenza e percepire fiducia fossero i tre fattori principali che emergevano dalle aziende che avevano raggiunto i punteggi più alti. Curiosamente, ciò non coincideva con la percezione dei dipendenti, i quali invece indicavano come principali obiettivi per il benessere personale la retribuzione e la flessibilità su lavoro.
Su quali fattori principali può incidere il datore di lavoro?
L’analisi del McKinsey Health Institute mostra che i datori di lavoro possono apportare cambiamenti significativi attraverso alcuni fattori direttamente collegati alla salute del lavoratore, come interazione sociale, mentalità e convinzioni, attività produttiva, stress, sicurezza economica e sonno.
Scendendo nel dettaglio, le interazioni sociali sul lavoro vissute dai dipendenti influenzano fortemente la salute e i risultati sul posto di lavoro. Sentirsi connessi al lavoro è associato a maggiore innovazione, impegno e qualità del lavoro e può avere un impatto particolarmente significativo per coloro che hanno reti sociali più piccole al di fuori del proprio lavoro. Allo stesso modo la ricerca scientifica ha dimostrato come esista una connessione tra mentalità positiva e una migliore esperienza di salute. Le aziende capaci di comunicare la propria mission e farla condividere dai dipendenti hanno già dimostrato di crescere due volte più velocemente rispetto ai loro concorrenti e ottenere miglioramenti in termini di soddisfazione e fidelizzazione dei dipendenti e fiducia da parte dei consumatori.
Quando poi si parla di stress sul posto di lavoro, si fa riferimento principalmente alla sua accezione negativa, anche se un certo livello di stress è effettivamente necessario come stimolo per imparare, crescere e svilupparsi. Il ruolo del datore di lavoro da questo punto di vista deve essere quello di garantire che i dipendenti siano stimolati, sfidati e motivati – ma mai sopraffatti – dalle esigenze che sperimentano sul posto di lavoro. Anche la sicurezza economica può influenzare molti aspetti della salute e della produttività. Ad esempio, gli individui ad alto reddito hanno cinque volte più probabilità rispetto agli individui a basso reddito di dichiarare un buono stato di salute. Così come i dipendenti che si trovano in difficoltà finanziarie hanno maggiori probabilità di manifestare segni di cattiva salute mentale, che ovviamente potrebbero influenzare negativamente le loro capacità sul posto di lavoro.
Altro elemento da considerare è quello legato al riposo del dipendente. La perdita in termini di produttività dovuta a lavoratori che non riposino adeguatamente, o soffrano patologicamente di insonnia, è molto alta. La ricerca del McKinsey Health Institute evidenzia come uno dei principali fattori che contribuiscono ad alterare il numero medio di ore di sonno di un dipendente sia il volume di lavoro richiesto, e come anche la capacità di adattarsi a cambiamenti inaspettati incida direttamente sulla qualità del riposo.
La ricerca citata stima che, a livello globale, ottimizzare la salute e il benessere dei dipendenti sia capace di produrre un guadagno compreso tra i 3,7 e gli 11,7 trilioni di dollari, il che equivale ad aumentare il PIL globale dal 4 al 12%. Anche soltanto incidere per una piccola percentuale su cifre così consistenti può portare a un ritorno considerevole dei propri investimenti. Il cambio di paradigma – che per primi siamo consapevoli non essere per niente facile, in particolar modo in un mondo del lavoro complicato come quello del nostro paese – prevede che i datori di lavoro passino dall’obiettivo esclusivo di protezione dai rischi accidentali e dalle malattie, fino al supportare i dipendenti con l’obiettivo di promuovere e raggiungere una salute ottimale.
Quanto tempo ci vorrà per un cambio di mentalità di questa portata? Domanda alla quale non è facile rispondere … ma la strada sembra segnata.
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